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domenica 30 marzo 2014
domenica 10 febbraio 2013
Native Instruments Maschine MK2 review
Ok, I finally got the new Native Instruments Maschine MK2. It looks like the next big thing outta here, lot of endorsements and cool videos on the web about this software/hardware combo, but what's new in it? Is it that big deal? Let's dig it!
I formerly owned one Akai MPC2000XL and one Akai MPC1000, and I still own one Akai Z4. So I am very well acquainted with old generation samplers, drum machines and step sequencers. I wondered what's really new in Maschine, and I have to admit that the most part of it it's just a copy of the MPC series architecture and workflow. The pad sensivity on Maschine controller is simply amazing, and with the MK2 version the user can freely configurate pads' colors, just to visualize the content of each pad.
One thing I really like about Maschine is that you can use it in standalone mode, or you can open it in another sequencer/DAW (ProTools, Logic, Live!) and get it running within your favourite DAW.
This is really the final solution in the studio and on a liveset, very fast and very easy to use and program.
To keep it simple, let's see what I like and dislike:
LIKE:
That's it! Hope you will find my review useful. If you have any question, please don't hesitate to ask!
I formerly owned one Akai MPC2000XL and one Akai MPC1000, and I still own one Akai Z4. So I am very well acquainted with old generation samplers, drum machines and step sequencers. I wondered what's really new in Maschine, and I have to admit that the most part of it it's just a copy of the MPC series architecture and workflow. The pad sensivity on Maschine controller is simply amazing, and with the MK2 version the user can freely configurate pads' colors, just to visualize the content of each pad.
One thing I really like about Maschine is that you can use it in standalone mode, or you can open it in another sequencer/DAW (ProTools, Logic, Live!) and get it running within your favourite DAW.
This is really the final solution in the studio and on a liveset, very fast and very easy to use and program.
To keep it simple, let's see what I like and dislike:
LIKE:
- Pad sensivity is amazing.
- The sw runs very well on Mac and Mountain Lion. The workflow is simple and steady.
- You can export every single sample/loop/phrase in .WAV, and then import files in your DAW. Altough, you can just export stereo files. Mono option is missing here.
- The controller is very well constructed and solid, the native mapping is very cool. After two days of learning, I just started having fun with it. This is a cool learning curve, right?
- In a couple of hours you can come out with cool beats, efx, loops or whatever. Easy to use, to program and to understand.
- You got 8 groups. Each group contains 16 sounds. Quite simple, isn't it?
- The sound library is veeeery cool!
- The manual is very understandable and easy to use (just english, tho).
- It's an unvaluable tool for composing/arranging/playing live.
- I love the "swing" section. You can work on a master swing on the whole track, or you can assign different swing values to every single pattern. You can come out with bullshit, but also with very interesting and creative sound textures.
- Sync'ing with another sw (let's say Ableton Live! 8 or Traktor PRO 2.6) within one laptop it's very easy. I also sync'ed it with another laptop running Traktor Scratch PRO, via MIDI cable and Midi Clock. Just look on youtube, it's plenty of tutorials.
- You can also use Maschine as a step sequencer, and I really love this old fashioned feature.
- The MIDI implementation is ridicolous. If you use the hardware in controller mode, you can remap all the buttons/knobs to your personal taste (so you cannot control Maschine software in controller mode). But if you are using the hardware to control the Maschine sw, then you cannot send ANY Midi Message from the Midi OUT: It means that if you want to control the software and in the same time send MIDI messages to another device, well - FORGET IT!
- You just have 8 assignable parameters controlled by 8 knobs per group. I really miss a master section with all the efx and filters. Switching from one group controls to another (Macros) is quite messy, so you WILL need an external controller in order to control all the parameters you want (8x8= 64 parameters in a row)..
- The sampler editing section is very poor. If you are looking for ping-pong loops, or reverse loops (like in those old time samplers), or wanna pitch the loop or assign a pitch envelope or a LP/HP envelope to the loop, again: FORGET IT!
- Ok, we got 8 groups, each group contains 16 sounds (pads). But why I do not have the chance to switch the page and get more sounds in the group? I mean, it would be cool to have 32 or 64 sounds for every group. This is a sw limitation, I hope that developers at NI will give their help to get it bigger in the next updates!
That's it! Hope you will find my review useful. If you have any question, please don't hesitate to ask!
sabato 3 novembre 2012
Elastic Society su XL di Repubblica, Novembre 2012 - IL CONTEST!
Sul cd allegato al numero di novembre di XL di Repubblica è contenuto un mio brano. Si tratta di "BE STRONG", tratto dal mio ultimo album omonimo a firma Elastic Society - progetto che porto avanti da 7 anni con l'etichetta italiana Minus Habens Records.
Nel brano canta General Levy, celebre cantante reggae/jungle londinese, con il quale collaboro da qualche anno.
La Repubblica XL ha chiesto ad ogni artista partecipante alla compilation di girare un video di presentazione, e ha bandito un concorso tra i video.
Per votare il nostro video, è sufficiente accedere a questa pagina di Facebook.
Il mio video in concorso è qui. E' stato realizzato da Cosimo Calabrese. (Se il playback dovesse essere a scatti, la visione risulta fluida togliendo l'opzione HD).
VOTA ORA PER ELASTIC SOCIETY!
Il brano in questione è acquistabile su iTunes seguendo questo link.
Nel brano canta General Levy, celebre cantante reggae/jungle londinese, con il quale collaboro da qualche anno.
La Repubblica XL ha chiesto ad ogni artista partecipante alla compilation di girare un video di presentazione, e ha bandito un concorso tra i video.
Per votare il nostro video, è sufficiente accedere a questa pagina di Facebook.
Il mio video in concorso è qui. E' stato realizzato da Cosimo Calabrese. (Se il playback dovesse essere a scatti, la visione risulta fluida togliendo l'opzione HD).
VOTA ORA PER ELASTIC SOCIETY!
Il brano in questione è acquistabile su iTunes seguendo questo link.
mercoledì 5 settembre 2012
Ho sparato ad un uomo a Reno...
Torno ad ascoltare il "Live at Folsom Prison" di Johnny Cash, vinile Columbia 1968, etichetta rossa.
Ancora una volta mi colpiscono le ritmiche di Perkins alla chitarra elettrica, che fa cose veramente incredibili. Ma la cosa che in questi giorni mi ha colpito di più è stata l'aver appreso una notizia nuova circa la produzione del disco: Bob Johnston, colui che registrò e mixò il live in California, aggiunse delle voci in studio, degli applausi, alcune grida. Cosa che all'epoca era solito farsi negli Stati Uniti, e che a noi oltreoceano è arrivata sotto forma delle ridicole risate sotto i serial TV americani degli anni '70. Insomma il concerto si apre, il disco inizia. Cash dice la frase di rito "Hello, I'm Johnny Cash" e la band comincia a sparare il riff del primo brano, "Folsom Prison Blues". Ad un certo punto Cash pronuncia la famosa frase "I shot a man in Reno, just to watch him die". E Johnston sotto questa frase aggiunse in studio applausi e un urlo di un carcerato. Falsificazione del documento storico, sicuramente: alla Columbia non erano interessati all'integrità della registrazione, ma piuttosto all'effetto che essa potesse produrre sul pubblico. Avevano ragione: fu un effetto dirompente. Il problema fu però che alla fine del 1968 Bob Kennedy fu assassinato proprio in California. Che c'entra un concerto con l'assassinio di un Kennedy? C'entra, perchè alla Columbia pensarono bene di ristampare subito il disco, togliendo appunto quelle grida dopo la frase incriminata, che secondo i dirigenti incitavano alla violenza gratuita. Il che fa luce su due cose: in primo luogo sul ruolo importantissimo che la musica ha (aveva?) negli Stati Uniti. E in secondo luogo sul puritanesimo latente in questa operazione di eliminazione di un grido che - in fin dei conti - era solo un artificio. Così come artificiale era la frase celebre di Cash, che non era mai stato in galera se non per qualche bravata da rock star impenitente e anfetaminica.
Sarebbe interessante ora scovare una copia del '69 di quel vinile, e vedere se quel grido non c'è più davvero. La mia copia appartiene infatti alla prima tiratura, 1968 - e non ho mai trovato in circolazione copie posteriori con cui confrontare l'originale.
Lettura consigliata: "Johnny Cash: The Autobiography", con Patrick Carr -Mass Market Paperback 1998.
Ancora una volta mi colpiscono le ritmiche di Perkins alla chitarra elettrica, che fa cose veramente incredibili. Ma la cosa che in questi giorni mi ha colpito di più è stata l'aver appreso una notizia nuova circa la produzione del disco: Bob Johnston, colui che registrò e mixò il live in California, aggiunse delle voci in studio, degli applausi, alcune grida. Cosa che all'epoca era solito farsi negli Stati Uniti, e che a noi oltreoceano è arrivata sotto forma delle ridicole risate sotto i serial TV americani degli anni '70. Insomma il concerto si apre, il disco inizia. Cash dice la frase di rito "Hello, I'm Johnny Cash" e la band comincia a sparare il riff del primo brano, "Folsom Prison Blues". Ad un certo punto Cash pronuncia la famosa frase "I shot a man in Reno, just to watch him die". E Johnston sotto questa frase aggiunse in studio applausi e un urlo di un carcerato. Falsificazione del documento storico, sicuramente: alla Columbia non erano interessati all'integrità della registrazione, ma piuttosto all'effetto che essa potesse produrre sul pubblico. Avevano ragione: fu un effetto dirompente. Il problema fu però che alla fine del 1968 Bob Kennedy fu assassinato proprio in California. Che c'entra un concerto con l'assassinio di un Kennedy? C'entra, perchè alla Columbia pensarono bene di ristampare subito il disco, togliendo appunto quelle grida dopo la frase incriminata, che secondo i dirigenti incitavano alla violenza gratuita. Il che fa luce su due cose: in primo luogo sul ruolo importantissimo che la musica ha (aveva?) negli Stati Uniti. E in secondo luogo sul puritanesimo latente in questa operazione di eliminazione di un grido che - in fin dei conti - era solo un artificio. Così come artificiale era la frase celebre di Cash, che non era mai stato in galera se non per qualche bravata da rock star impenitente e anfetaminica.
Sarebbe interessante ora scovare una copia del '69 di quel vinile, e vedere se quel grido non c'è più davvero. La mia copia appartiene infatti alla prima tiratura, 1968 - e non ho mai trovato in circolazione copie posteriori con cui confrontare l'originale.
Lettura consigliata: "Johnny Cash: The Autobiography", con Patrick Carr -Mass Market Paperback 1998.
martedì 28 agosto 2012
Malaria Portrait @ Policoro
Fausta Micheletta - photo © Alberto Dati |
Quelle foto di bimbi in fin di vita mi hanno colpito, così come mi ha colpito conoscere Fausta e la semplicità con cui parla del suo lavoro in Costa d'Avorio o in Sri Lanka, tempo fa. Lavoro che le ha fatto incontrare la disperazione delle madri e la morte dei bambini, ma anche un sorriso e una speranza di sopravvivenza.
La mostra è stata organizzata dall'Associazione Culturale Margana41 - Spazi di Cultura
E alla fine, anche io ho fatto un ritratto a Fausta.
martedì 19 giugno 2012
Marrakech
Per l'ennesima volta oggi mi sono fermato a parlare con uno di quei ragazzi che vendono oggetti di tutti i tipi sulle spiagge nostrane. Questa volta veniva dal Senegal, e diceva di chiamarsi Mario. Forse perchè ieri c'è stata una partita dell'Italia, e Mario in questi giorni è un nome sulle labbra di tutti. In ogni caso, mi ha detto che oggi gli servivano soldi, e che domani con quei soldi si sarebbe divertito: ignoro la fonte di tale divertimento. Comunque, gli ho chiesto come fosse il Senegal. Lui mi ha detto: "E' bello! Vacci!". Io gli ho mestamente risposto che dell'Africa ho visto solo il Marocco. "Quella non è Africa, è come l'Europa. Là sono tutti bianchi come voi". Lo sapevo già - del resto - che l'Africa nera non considera propriamente "Africa" il Maghreb. Li considerano bianchi, europei, francesi. Forse non a torto, mi dico. "Da noi è più bello - ha continuato - perchè bianchi e neri sono mescolati. Bello no?".
Del resto, andare in Marocco per un Europeo o un Americano è come vivere l'Africa in maniera edulcorata, civile, tutto sommato accettabile. Sono musulmani ma non troppo. Sono neri ma non troppo. Sono poveri ma non troppo. Fa caldo ma non troppo. Ora poi che le compagnie low-cost sono sbarcate a Marrakech, il turista attento farà bene ad affrettarsi, prima che anche la Città Rossa diventi come Taormina o Cortina d'Ampezzo (o forse lo è già diventata negli anni '80). Altrimenti dovremo accontentarci di una visione in fondo borghese, qualunquista e da clichet, simile al libro di Canetti su Marrakech: che è appunto velato di borghese discrezione, di fascino per l'esotismo, di paura a superare quei limiti imposti all'homo europeus da Carlo Magno e dal Cristianesimo.
Del resto, andare in Marocco per un Europeo o un Americano è come vivere l'Africa in maniera edulcorata, civile, tutto sommato accettabile. Sono musulmani ma non troppo. Sono neri ma non troppo. Sono poveri ma non troppo. Fa caldo ma non troppo. Ora poi che le compagnie low-cost sono sbarcate a Marrakech, il turista attento farà bene ad affrettarsi, prima che anche la Città Rossa diventi come Taormina o Cortina d'Ampezzo (o forse lo è già diventata negli anni '80). Altrimenti dovremo accontentarci di una visione in fondo borghese, qualunquista e da clichet, simile al libro di Canetti su Marrakech: che è appunto velato di borghese discrezione, di fascino per l'esotismo, di paura a superare quei limiti imposti all'homo europeus da Carlo Magno e dal Cristianesimo.
venerdì 8 giugno 2012
Le fotografie di Stendhal
Nell'ottobre del 1828 Stendhal era in Lazio, e girovagava tra la campagna e l'Urbe con un gruppo di amici, alcuni servitori e molte carrozze. Era stato tante volte in Italia - che amava assai - e le sue memorie posteriori assommano viaggi fatti in epoche diverse, confondono le persone e i luoghi, costruiscono un mondo verosimile nel quale l'Autore ci porta per mano.
Agli inizi di ottobre dunque egli si trovava al lago d'Albano, vicino Grottaferrata. Così egli annotava il giorno 7:
"Qualche giorno fa, una delle nostre compagne stava riprendendo una veduta con la camera oscura".
Niepce aveva fatto i suoi primi esperimenti fotografici appena due anni prima, e cerco ora di immaginarmi questa elegante signorina parigina a spasso per la campagna romana con il suo ingombrante apparecchio fotografico di legno e vetro. Stendhal l'avrà guardata divertito, dal fondo dei suoi occhioni scuri ed espressivi . Mi chiedo chi fosse quella ragazza, cosa stesse fotografando, che fine abbiano fatto quelle lastre impressionate con la luce del lago d'Albano. Chissà che ella non abbia fotografato Stendhal stesso, all'epoca già noto romanziere e poi console in Italia, a Civitavecchia. Chissà cosa è successo a quei fragili vetrini su cui era impresso un ricordo, un panorama, forse dei volti, alcune rovine romane, erbe selvatiche e animali al pascolo. Chissà pure se Stendhal - sempre così attento al correre del tempo - sia stato entusiasta di questa nuova scoperta francese, o la bollasse nella sua mente come una moda passeggera, che "cambia ogni 25 anni". Non trovo altri luoghi nelle opere stendhaliane dove egli parli di fotografia, e questa unica emergenza di una tecnica così nuova mi sorprende, mi affascina, mi fa sentire Beyle ancora più vicino alla sensibilità moderna. Ma come diceva egli stesso, i suoi scritti sarebbero rimasti incompresi dai suoi contemporanei, e sarebbero stati capiti appieno solo cinquant'anni dopo la morte dello scrittore.
Lettura consigliata: Stendhal, Passeggiate Romane, Milano 2004.
Agli inizi di ottobre dunque egli si trovava al lago d'Albano, vicino Grottaferrata. Così egli annotava il giorno 7:
"Qualche giorno fa, una delle nostre compagne stava riprendendo una veduta con la camera oscura".
Niepce aveva fatto i suoi primi esperimenti fotografici appena due anni prima, e cerco ora di immaginarmi questa elegante signorina parigina a spasso per la campagna romana con il suo ingombrante apparecchio fotografico di legno e vetro. Stendhal l'avrà guardata divertito, dal fondo dei suoi occhioni scuri ed espressivi . Mi chiedo chi fosse quella ragazza, cosa stesse fotografando, che fine abbiano fatto quelle lastre impressionate con la luce del lago d'Albano. Chissà che ella non abbia fotografato Stendhal stesso, all'epoca già noto romanziere e poi console in Italia, a Civitavecchia. Chissà cosa è successo a quei fragili vetrini su cui era impresso un ricordo, un panorama, forse dei volti, alcune rovine romane, erbe selvatiche e animali al pascolo. Chissà pure se Stendhal - sempre così attento al correre del tempo - sia stato entusiasta di questa nuova scoperta francese, o la bollasse nella sua mente come una moda passeggera, che "cambia ogni 25 anni". Non trovo altri luoghi nelle opere stendhaliane dove egli parli di fotografia, e questa unica emergenza di una tecnica così nuova mi sorprende, mi affascina, mi fa sentire Beyle ancora più vicino alla sensibilità moderna. Ma come diceva egli stesso, i suoi scritti sarebbero rimasti incompresi dai suoi contemporanei, e sarebbero stati capiti appieno solo cinquant'anni dopo la morte dello scrittore.
Lettura consigliata: Stendhal, Passeggiate Romane, Milano 2004.
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