sabato 1 ottobre 2011

Paura di nuotare



E' notizia di qualche mese fa il caso di un ragazzo nigeriano, del quale ignoriamo il nome, morto in provincia di Taranto per un incidente sul lavoro. Il giovane aveva appena 27 anni, e stava appunto lavorando in un campo di arance. Luogo che in autunno si riempie di frutta, e il ragazzo probabilmente assaporava assieme alla fatica l'odore di quell'aranceto, e magari qualche spicchio durante le pause. Avrà pensato al suo paese, lontano tremila chilometri da qui, al vento del Sahara che arriva da nord, alle onde dell'Atlantico che sfidano le coste del golfo di Guinea, al grande umido portato dal fiume. E avrà sofferto il caldo, qui come a casa sua, sebbene da noi le estati siano più miti, e la vegetazione più accogliente, il clima più amico. Chissà se sudando avrà pensato al proprio sudore in Nigeria o in Niger, perché il tg non specificava neanche questo. E del resto in Italiano non sappiamo neanche distinguere un abitante del Niger da uno della Nigeria. Avrà pensato al sudore visto sgocciolare dalla fronte del padre, della madre con i tanti figli. Le mamme africane si immaginano sempre con tanti figli, del resto, e forse anche questo è un luogo comune.
Fatto sta che il nostro ragazzo nigeriano lavora e lavora instancabile alla raccolta delle arance, agli innumerevoli compiti che gli si assegnano di volta in volta. E lavora sodo il nigeriano, non c'è che dire, come commentano i vecchi che portano i trattori, e le donne che raccolgono le cassette. In fondo è un bravo ragazzo. In fondo, non si sa perché. E mentre le arance si assommano a quintali sui trattori e poi sui camion, sui pallet e poi nei TIR, il ragazzo continua a lavorare di braccia, con i pantaloni corti stralucidi e un paio di infradito ai piedi, il petto nudo. Incurante del sole, ha visto di peggio nella vita, da ragazzino e da adulto; ha visto la fame più disperata, gli insetti che ti divorano vivo, le malattie, l'umidità che ti mangia vivo durante il Ramadan. Ma è riuscito a scappare, a fuggire via lontano, in una terra che è un nome prima che una realtà conosciuta. Come sia riuscito a raggiungere questi lidi, quale sia stata la sua personale odissea, non ci è dato saperlo. Sappiamo solo che questo ragazzo di colpo, un giorno di qualche tempo fa, si trovava vicino a noi – in mezzo a noi verrebbe da dire – in un bel campo di arance nella provincia nord di Taranto, in un luogo così bello, con i muretti a secco e gli ulivi a perdita d'occhio. E stava raccogliendo le arance, per l'appunto, mentre è successa la disgrazia. Così almeno riferisce chi stava lavorando nelle stesse ore sotto gli stessi alberi ombrosi e freschi. E così dice pure il suo padrone, bianco, che ora è preoccupato per più di un motivo. Il ragazzo pensava al suo passato, forse, o al momento del riposo, mentre strappava rabbioso le arance dai mille rami pendenti sulla sua testa. Mentre centinaia di suoi coetanei si godono l'università, una serata al bar con gli amici, una pizza, lo sguardo di una ragazza in discoteca, un concerto, un lavoro onesto al ristorante vicino casa, un semplice letto dove dormire di notte; mentre tutti gli altri si godono insomma la loro vita normale e cieca, lui ha dovuto aprire gli occhi molto prima, per sopravvivere. Aveva dovuto farlo, pena la morte naturale, o violenta. Insomma per farla breve il ragazzo stava lavorando presumibilmente su un albero di arance quando ha perso l'equilibrio, ed è caduto in una grande cisterna piena d'acqua che era proprio lì sotto, ai piedi dell'albero. Come se quella cisterna costruita anni prima fosse stata messa lì apposta, per accogliere il volo del nigeriano e i suoi ultimi respiri. Menomale che c'era la cisterna, poteva farsi male, direte voi. E invece no. No perché il ragazzo non era abituato all'acqua, e non sapeva nemmeno nuotare. Abitava all'interno, forse, vicino alle grandi foreste, o intorno alle paludi del Niger ricche di mangrovie. Sapeva attraversare i boschi, trovare pozzi d'acqua, forse. Ma non sapeva nuotare. E tutta quest'acqua trovata così all'improvviso lo ha sorpreso, in quel mare di alberi e in quel sole che in autunno è ancora forte; e l'ha affogato.
Lo hanno trovato così sei ore dopo, a pancia in giù nell'acqua; con gli occhi rivolti verso il fondo, irraggiungibile e lontano. Lontano come quella terra lasciatasi alle spalle, per fuggire dal proprio passato e dal proprio destino. Fuggito in Italia, qui in mezzo a noi, per morire in una cisterna piena d'acqua potabile.

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